Taranto, il futuro sospeso e le verità scomode dell’Ex Ilva

Le dimissioni del Sindaco Bitetti: un atto politico o una fuga strategica? La città in bilico tra salute, lavoro e inerzia politica.

di Salvatore Stano

ROMA (EN24) Taranto, ancora una volta, si ritrova al centro di un dramma che travalica i confini locali, diventando metafora di un’Italia alle prese con sfide complesse tra sviluppo industriale, tutela della salute pubblica e salvaguardia dell’ambiente. Le recenti e repentine dimissioni del Sindaco Piero Bitetti, presentate a meno di due mesi dalla sua elezione, non sono solo una notizia di cronaca politica, ma un vero e proprio sismografo delle tensioni che da anni agitano il futuro dell’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Un gesto che ha gettato un’ombra lunga e incerta sul percorso di riconversione e rilancio di uno dei più grandi complessi siderurgici d’Europa.

Un gesto tra protesta e calcoli politici: le verità nascoste

Ufficialmente, Bitetti ha gettato la spugna dopo le accese contestazioni degli ambientalisti, dichiarando una presunta “inagibilità politica” che gli avrebbe impedito di governare con serenità. Una motivazione che, pur nobile e comprensibile per l’episodio di protesta davanti a Palazzo di Città, stona tuttavia con la tempistica e le dinamiche interne alla sua stessa maggioranza. È difficile credere che le sole pressioni di alcuni manifestanti abbiano potuto determinare un passo tanto drastico, che ha lasciato una giovanissima amministrazione in un limbo politico.

Più plausibile, e le voci di corridoio lo confermano, è che le dimissioni siano state una mossa, forse disperata o forse calcolata, per evitare una palese sconfitta in Consiglio comunale. La seduta, che avrebbe dovuto esprimere la posizione della città sull’accordo di programma per l’ex Ilva alla vigilia del vertice ministeriale, avrebbe con ogni probabilità messo in luce la fragilità della maggioranza di centrosinistra. Le posizioni ondivaghe del Sindaco sull’accordo governativo – inizialmente contrario, poi propenso alla tutela occupazionale, poi ancora strizzando l’occhio alla chiusura delle fonti inquinanti per recuperare il consenso di movimenti e partiti come il M5S – hanno evidentemente creato una spaccatura insanabile all’interno della coalizione. Non è un mistero che settori del Partito Democratico e la stessa Regione Puglia, con il Presidente Michele Emiliano, abbiano mostrato maggiore pragmatismo, seppur con le dovute garanzie ambientali e occupazionali, rispetto alla linea più oltranzista adottata da Bitetti. La minaccia di un “aut aut” ai suoi consiglieri, tradotto in “o si trova l’unità sull’Ilva o si va tutti a casa“, appare come un tentativo estremo di ricompattare un fronte politico già profondamente diviso.

Adolfo Urso (ANSA)

Il Governo tira dritto: la decarbonizzazione non aspetta

Mentre Taranto si dibatte nelle sue faide interne e si interroga sul futuro della sua amministrazione, il Governo centrale non si ferma.  La proposta governativa, elaborata con Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, mira alla realizzazione di tre forni elettrici per una produzione decarbonizzata, affiancati da impianti per il preridotto (Dri) e, in prospettiva, da una nave rigassificatrice a supporto.

Questo scenario, definito come “opzione A”, è un piano estremamente ambizioso: prevede investimenti complessivi che oscillano tra i 9,3 e i 9,7 miliardi di euro e un fabbisogno stimato di 5,1 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ben superiore ai 2 miliardi garantiti dalla rete attuale, da cui la necessità della nave rigassificatrice. Un progetto che, se da un lato promette una riconversione “verde” e la sostenibilità dell’impianto, dall’altro presenta complessità tecniche e ambientali non indifferenti, oltre a orizzonti temporali di realizzazione medio-lunghi che implicano il mantenimento dell’attuale produzione a ciclo integrale nel breve periodo.

Il Ministro Urso ha chiaramente delineato le due opzioni: lo scenario A, con forni elettrici, Dri, cattura CO2 e nave rigassificatrice offshore, o uno scenario B che esclude il Dri da Taranto (potrebbe essere realizzato a Gioia Tauro) e rinuncia alla nave FSRU, ma che comporterebbe fino a 700 esuberi in più e un investimento ridotto a circa 3,2 miliardi di euro. È evidente che il braccio di ferro con l’amministrazione comunale di Taranto, e in particolare la resistenza all’ipotesi di Dri e rigassificatore in loco, rischia di ridimensionare drasticamente gli investimenti previsti e, di conseguenza, le prospettive occupazionali per migliaia di lavoratori.

La responsabilità di scegliere, non di fuggire: un appello alla politica

Le dimissioni di Bitetti, al di là delle motivazioni ufficiali, appaiono come un sintomo di una classe politica locale (e non solo) che fatica a fare sintesi e ad assumersi la responsabilità di scelte impopolari ma necessarie per il futuro della comunità. In una democrazia rappresentativa, il mandato è proprio quello di mediare tra interessi complessi, decidere e, se necessario, “scontrarsi” dialetticamente per il bene della comunità, non di fuggire alla prima difficoltà o di giocare su ambiguità e contraddizioni. Le accuse velate dell’opposizione, che vede nelle dimissioni una manovra per “saltare l’ostacolo” dell’accordo di programma e poi ritirarle, così come le critiche sulla mancanza di una linea chiara, sono pesanti e non possono essere ignorate.

Taranto, manifestanti fuori Palazzo di Città Foto (Punti di vista Press)

La logica del “tutto o niente”, spesso alimentata da derive ideologiche o da calcoli elettorali a breve termine, rischia di condannare Taranto a un’ulteriore paralisi. La città ha già pagato un prezzo altissimo in termini di salute e ambiente, ma la chiusura totale, senza un’alternativa concreta e sostenibile, significherebbe un disastro occupazionale e sociale. È il momento di superare le resistenze ideologiche e le divisioni interne, che hanno spesso caratterizzato l’approccio del centrosinistra pugliese alla questione Ilva, e di puntare a una riconversione che sia davvero “verde” e che garantisca al contempo la continuità produttiva e occupazionale.

Il futuro dell’ex Ilva, e con esso quello di Taranto, non può permettersi ulteriori tentennamenti. È ora che tutte le forze politiche, a livello locale e nazionale, si assumano pienamente le proprie responsabilità, dialogando in modo costruttivo e trovando soluzioni concrete che concilino la salute dei cittadini con la necessità di un’industria sostenibile e competitiva. Altrimenti, le dimissioni di oggi rischiano di essere solo l’inizio di un commissariamento non solo politico, ma anche economico e sociale per l’intera città, lasciandola ancora una volta in attesa di un futuro che sembra non arrivare mai.

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